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I casi di cronaca nera irrisolti (o quasi) in Italia

Introduzione

Il mondo delle indagini e della cronaca è pieno di questo genere di casi che creano un’enorme attrattiva. Centinaia di pagine di giornali e fiumi di interviste, migliaia di ore di programmi televisivi e milioni di italiani incollati davanti alla TV o in coda all’edicola per acquistare il quotidiano e anche in ascolto di un Podcast.

C’è poi da sottolineare la differenza tra i casi irrisolti e un Cold Case. I casi irrisolti in generale sono tutti quelli in cui gli inquirenti non sono arrivati a nessun risultato; tra questi, i Cold Cases sono quelli che potrebbero essere riaperti per via di un nuovo spunto investigativo. Alcuni tra i casi che vi proponiamo qui sono giunti perfino alla condanna dei presunti autori, ma vi sono comunque dubbi circa la loro possibile innocenza.

Se, infatti, nel diritto penale italiano vige il principio secondo cui il giudice possa condannare solo se l’imputato risulti colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio” (la cd. “formula BARD”, art.533 del Codice di procedura penale), in questi casi… residuano margini di ragionevole dubbio.

Attenzione: tutte le storie sono (ovviamente) vere e alcuni dettagli potrebbero turbare il lettore più sensibile.

    1. Annamaria Franzoni e il delitto di Cogne

    Il delitto di Cogne, del 30 gennaio 2002 vede protagonista Annamaria Franzoni, che di mattina chiamava il 118 denunciando di aver trovato il figlio Samuele, di tre anni, che “vomitava sangue” nel suo letto. Arrivati sul posto i soccorsi, questi notavano un pezzo del cranio mancante con fuoriuscita di materia grigia (il bambino, tuttavia, era ancora vivo). Il medico di famiglia, ivi presente, ipotizzò un’aneurisma esplosivo.

    I soccorritori constatarono che le ferite erano frutto di un atto violento e avvisarono i carabinieri. Poco dopo il piccolo fu dichiarato morto e l’autopsia stabilì che la causa del decesso erano almeno diciassette colpi sferrati con un corpo contundente. Dopo ben 40 giorni, Annamaria fu iscritta al registro degli indagati con l’accusa di omicidio.

    Le lunghe indagini furono ampiamente esplicative: Annamaria Franzoni aveva ucciso il proprio figlio colpendolo ripetutamente con un oggetto contundente. Così affermeranno il G.U.P. Di Aosta e poi la Corte d’Assise di Appello di Torino e infine anche la Suprema Corte di Cassazione.

    La difesa dell’imputata, tuttavia, ha voluto più volte sottolineare (grazie anche a perizie psichiatriche) la incapacità di intendere e volere al momento del fatto. Fondamentale è, infatti, il fatto che Annamaria Franzoni non ha mai smesso di dichiararsi innocente.

    Le sentenze, poi, parleranno sempre di “stato crepuscolare di coscienza”: una particolare psicopatologia che può durare anche solo pochi momenti e può portare anche a rimuovere la memoria di eventi particolarmente traumatici.

    2. Il mostro di Firenze

    Le vicende del mostro di Firenze riguardano una serie di plurimi omicidi e quello che, evidentemente, era un serial killer: a fare le spese della follia omicida di uno o più uomini furono 8 giovani coppie tra il 1968 e il 1985.

    Ad essere indagati furono i “compagni di merende”, un gruppo di voyeur capeggiati da Pietro Pacciani (chi poi fu detto essere il mostro), insieme a Mario Vanni e Giancarlo Lotti.

    Ci sono, tuttavia, varie problematiche sulla riconducibilità dei fatti al Pacciani. Secondo molti, infatti, un umile contadino non sarebbe potuto mai arrivare a uccidere freddamente 16 persone, anche per via del fatto che sui cadaveri furono ritrovati dei tagli “chirurgici”, che potevano essere opera solo di una persona appartenente mondo della medicina.

    Secondo alcuni il mostro di Firenze non sarebbe mai stato catturato, ma avrebbe smesso di uccidere nel 1985 solo perché sua madre era morta quell’anno e lui, cercando nelle vittime proprio la sua genitrice, non aveva più ragione di uccidere.

    C’è perfino chi collega il mostro di Firenze al celeberrimo serial killer americano Zodiac (anch’egli mai catturato).

    3. L’incidente degli anarchici della Baracca

    La notte del 26 settembre 1970 un gruppo di cinque ragazzi perse la vita in un misterioso incidente stradale mentre erano in viaggio da Reggio Calabria a Roma.

    Questi ragazzi avevano svolto delle indagini autonome su due eventi accaduti nell’estate dello stesso anno (“le giornate di Reggio”) ed erano giunti alla conclusione che la cd. Strage di Gioia Tauro (un deragliamento del Treno del Sole del 22 luglio) era stata causata da una carica esplosiva posta sul treno da un gruppo di neofascisti in collaborazione con la ‘Ndrangheta.

    Dopo aver raccolto abbastanza prove, decisero di recarsi a Roma per incontrarsi con l’avvocato Di Giovanni, che aveva collaborato all’inchiesta sulla Strage di Piazza Fontana. Non arriveranno mai nella capitale: il 26 settembre, come avevamo già anticipato, la loro macchina fu travolta da un camion. Tre dei cinque morirono sul colpo, gli altri due entrarono in coma e morirono poco dopo.

    Le indagini che ne seguirono furono alquanto strane. In primis, la macchina riportava pochi danni. Per non parlare del fatto che le forze dell’ordine che arrivarono per prime sul posto furono volanti della Polizia proveniente da Roma e non da più vicino.

    C’è, quindi, chi ipotizza un coinvolgimento dei Servizi Segreti. Ma c’è anche chi ha notato un collegamento tra l’autista del camion e Junio Valerio Borghese, esponente dell’estrema destra che pochi anni dopo si renderà protagonista di un fallito golpe (il Golpe Borghese).

    4. L’Unabomber italiano

    Il 21 agosto 1994 a Sacile era in corso la 721° edizione della Sagra degli Osei: alle ore 10:45 una donna raccoglie un tubo di ferro vicino a un cespuglio. Questo esploderà, liberando delle biglie di vetro al suo interno e ferendo la donna e i suoi figli.

    È il primo attentato dell’Unabomber italiano, nome che richiama un caso simile statunitense: da quel momento posizionerà oltre 30 ordigni in tutto il triveneto fino al 2006. Anno in cui, senza alcun apparente motivo, sparirà nel nulla.

    Tra i suoi obiettivi non sembra riconoscere una linea di pensiero unica, anche se spesso ha colpito in occasioni festose e, ancora più spesso, ha preso come bersaglio i bambini (posizionando bombe nella Nutella, in bombolette di stelle filanti spray e perfino nelle Uova Kinder). I suoi moventi sono del tutto oscuri: non cercava neanche la fama, visto che non ha mai rivendicato gli attentati o neanche espresso un significato per gli stessi.

    Dal 6 maggio 2006 viviamo un lungo silenzio, in cui non abbiamo avuto più attentati da parte sua. Però questo silenzio si apre a diverse interpretazioni. Unabomber potrebbe essere morto. Potrebbe essere stato arrestato per altra causa oppure potrebbe aver perso l’interesse. Oppure potrebbe essere solo in pausa, pronto a riprendere.

    5. Il delitto di Arce

    Il primo giugno 2001 ad Arce, provincia di Frosinone, la diciottenne Serena Mollicone scomparve, dopo essersi recata in ospedale per una visita. Non essendo tornata a casa per le 14, i familiari diedero l’allarme e ne denunciarono la scomparsa. Fu ritrovata il 3 giugno in un boschetto a circa 8 km da Arce.

    Era in posizione supina, seminascosta da rami e foglie. Era avvolta in un sacchetto di plastica, con le mani e i piedi legati con lo scotch e il fil di ferro. Aveva una ferita vicino all’occhio sinistro e naso e bocca erano tappati da nastro adesivo. Si ipotizzò la morte per asfissia.

    Le indagini non stavano portando a nulla, finché l’11 aprile 2008 un carabiniere di stanza ad Arce si suicidò. Pochi giorni prima, ascoltato dagli inquirenti, aveva dichiarato che il 1° giugno 2001, giorno della scomparsa di Serena Mollicone, era giunta in caserma una ragazza dalla descrizione compatibile con quest’ultima. Fino alle 14:30, la ragazza era rimasta in caserma.

    Da questo suicidio (sapeva forse qualcosa?), si svilupparono diverse indagini interne all’Arma dei Carabinieri. Nel 2017, poi, a seguito di una nuova autopsia del cadavere, venne scoperta la sparizione degli organi genitali e dell’ano di Serena (furono forse fatti sparire da qualcuno per occultare delle tracce biologiche?).

    Nel 2020 furono rinviati a giudizio tre carabinieri e due famigliari di uno di essi con le accuse di concorso in omicidio volontario, occultamento di cadavere, istigazione al suicidio e favoreggiamento.

    Il 15 luglio 2022, però, la Corte di Assise di Cassino pronunciò l’assoluzione di tutti gli imputati, tra le urla in aula: “vergogna, assassini”.

    6. La strage di Erba

    11 dicembre 2006, Erba, provincia di Como. In un appartamento scoppia un incendio. Un vicino, pompiere, decide di entrare nella palazzina. Sul pianerottolo trovano Mario Frigerio ferito. Solo dopo che le fiamme furono domate riescono a trovare altri quattro corpi senza vita.

    Non erano morti per l’incendio, ma furono tutti aggrediti con spranghe e coltelli. Solo Mario Frigerio si salvò, per via di una malformazione della carotide che rese non mortale un taglio alla gola.

    Condannati per questa strage furono i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi. Vi sono però alcune stranezze nelle indagini a partire da alcune supposte ingerenze da parte degli inquirenti, specie nella formazione della testimonianza di Mario Frigerio (univo testimone oculare). Già nel 2011, infine, Azouz Marzouk, marito di uno delle vittime, si era espresso a favore dell’innocenza di Rosa e Olindo.

    7. Alberto Stasi e l’omicidio di Chiara Poggi

    Il delitto di Garlasco, in provincia di Pavia, fu l’omicidio di Chiara Poggi del 13 agosto 2007 per cui fu condannato il fidanzato Alberto Stasi.

    Chiara fu uccisa con un oggetto contundente, mai identificato, in casa sua. Secondo gli inquirenti, conosceva l’assassino, tanto da aprirgli la porta in pigiama e in maniera spontanea (non vi erano segni di effrazione). Fu proprio Alberto Stasi a dare l’allarme.

    Venne poi sospettato per una serie di motivi: primo fra tutti, la pulizia dei vestiti e delle scarpe (come se, dopo essere entrato nel luogo del delitto non si fosse minimamente sporcato di sangue, o come se li avesse cambiati).

    Stasi, tuttavia, sembrava avere un alibi: stava lavorando al computer per la sua tesi di laurea. Dopo una serie di errori degli inquirenti, fu accertato che effettivamente il suo computer fu utilizzato per una serie di ore della mattina dell’omicidio. Rimanevano, però, scoperti 23 minuti.

    Un ulteriore elemento fu quello che l’assassino si sarebbe mosso su una bicicletta simile a una che fu trovata nella disponibilità di Stasi. Se sui pedali si sarebbero dovute trovare tracce ematiche, queste non c’erano, ma erano presente su altri pedali montati su un’altra bici.

    Stasi fu assolto dai giudici di merito, ma la Corte di Cassazione annullò la assoluzione il 18 dicembre 2013. Il processo di rinvio lo affermò colpevole.

    8. La scomparsa di Emanuela Orlandi

    Emanuela Orlandi, cittadina vaticana di 15 anni scomparve il 22 giugno 1983. Quel giorno, a seguito di una lezione di canto, chiamò a casa dicendo che un uomo le aveva proposto un lavoro di volantinaggio, poi aspettò l’uscita dalla lezione di alcune sue amiche e aspettarono insieme l’autobus. Salite le amiche su autobus diversi, Emanuela rimase a terra: da quel momento se ne persero le tracce.

    Le numerosissime ipotesi sulla sua sparizione hanno reso questo caso irrisolto uno dei più celebri di tutta la storia italiana e vaticana. I sospetti riguardavano perfino gli stessi Stati, ma anche i servizi segreti e finanche la Banda della Magliana ed organizzazioni terroristiche internazionali. Fu anche ricollegata alla scomparsa di un’altra ragazza, Mirella Gregori, nel 7 maggio di quello stesso anno.

    Tra le ipotesi, anche un collegamento con l’attentato a Papa Giovanni Paolo II, dopo una telefonata alla sala stampa vaticana da parte di un soggetto che chiedeva di mettersi in contatto con l’attentatore, dicendo di avere in ostaggio la ragazza.

    C’è poi la pista più macabra, quella della pedofilia. Secondo questa teoria, Emanuela sarebbe stata attirata e uccisa in un giro di festini a sfondo sessuale in cui sarebbero stati coinvolti membri del clero, un gendarme vaticano e perfino ambasciatori stranieri presso la santa sede.

    9. Il delitto della Cattolica

    Simonetta Ferrero fu trovata morta in un bagno della Cattolica di Milano il 24 luglio 1971. Il giorno in cui fu uccisa era pronta per partire per la Corsica in vacanza coi genitori. Non si sa perché si trovasse presso l’ateneo quel giorno, probabilmente per acquistare dei libri, trovando però la libreria chiusa.

    Fu rinvenuta da Mario Toso, all’epoca seminarista ventunenne, che passando di lì, fu attirato dallo scrosciare dell’acqua ininterrotto: vedendo la cosa come uno spreco, entrò nel bagno delle donne e scoprì il corpo pugnalato ben 33 volte di Simonetta. Non aveva segni di violenza sessuale, ma solo delle ferite da difesa su mani e braccia.

    Una stranezza fu il bagno scelto: non quello più vicino all’ingresso, ma uno ben più distante. Fu esclusa la rapina, visto che nella sua borsetta venne ritrovato tutto e non le erano nemmeno stati sottratti i gioielli.

    Oltre 20 anni dopo, nel 1994, il prefetto Achille Serra ricevette una lettera anonima scritta da una donna che sosteneva che nel ’74 una sua amica venne molestata da un religioso della Cattolica. Anche questa lettera, però non porto a niente di fatto.

    Ad oggi, a distanza di oltre 50 anni dal delitto, rimane un caso irrisolto.

    10. Il mostro di Udine

    Il mostro di Udine, serial killer mai identificato che ha commesso almeno 14 omicidi (in 12 di questi le vittime erano prostitute) tra il 1971 e il 1989. Gli omicidi rimasero irrisolti.

    Quattro di questi omicidi furono attuati in maniere molto simili: le vittime, in particolare, riportavano tutte uno sfregio sul ventre effettuato probabilmente con una lama simile a un bisturi a forma di “S” dall’addome al pube, nonché molte ferite al collo e alla gola.

    Si ipotizzò perfino la presenza di due diversi serial killer: uno che sfregiava le vittime col bisturi, l’altro che strangolava prostitute.

    L’ultimo omicidio è quello che si differenzia da tutti gli altri: la vittima, infatti, non fu una prostituta, ma una maestra di scuola elementare. L’unico elemento di riconducibilità al mostro di Udine è proprio lo sfregio a forma di “S” sul ventre.

    La sera del giorno del ritrovamento della maestra, nei pressi del luogo del delitto, fu trovato un uomo in stato confusionale con le braccia rivolte al cielo che chiedeva perdono. L’uomo affermò di essere un ginecologo di Udine (questo spiegherebbe la manualità nell’uso del bisturi). La pista non portò a niente, non trovando mai elementi di prova a carico di questo.

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